Cistinosi nefropatica: perché, ancora oggi, la presa in carico del paziente è così critica?

Se dovessimo trovare un solo sostantivo che riassuma tutto ciò che si nasconde nel variegato mondo delle malattie rare, questo sarebbe sicuramente «difficoltà». Difficoltà nella comprensione dei sintomi, nella ricerca di personale medico altamente specializzato, nella formulazione di una diagnosi, nella presa in carico e nella gestione quotidiana del paziente, nel reperire informazioni adeguate e nell’intraprendere percorsi terapeutici spesso non risolutivi e non privi di effetti collaterali. La vita di chi si imbatte in una patologia che accomuna poche persone è decisamente impervia, e quella dei familiari che se ne prendono cura non è da meno. Basti pensare, ad esempio, ai pazienti con cistinosi nefropatica, una malattia genetica ultra-rara, di cui si contano solo 2000 casi nel mondo e 70-80 in Italia.

Cistinosi nefropatica: di che cosa si tratta?

La cistinosi nefropatica è la forma più comune e grave di cistinosi, una patologia metabolica da accumulo lisosomiale. Normalmente l’amminoacido cistina raggiunge gli organelli cellulari chiamati lisosomi, per contribuire alla formazione di proteine essenziali per l’organismo. Il materiale che non serve più viene poi smaltito dagli enzimi presenti nei lisosomi stessi, garantendo così un equilibrio tra ciò che viene metabolizzato ed eliminato. Invece in chi ha la cistinosi, anche nella forma nefropatica, la cistina in eccesso non viene correttamente espulsa per un difetto nel sistema di trasporto: l’amminoacido, quindi, si accumula in queste strutture cellulari, formando dei veri e propri cristalli che compromettono il funzionamento di numerosi organi e tessuti.

Come si manifesta?

A essere colpiti per primi nella cistinosi nefropatica – come suggerisce già il termine – sono i reni: i bambini, che nascono apparentemente sani, iniziano infatti a manifestare i segni della sindrome di Fanconi già nei primi anni di vita. Si tratta di una condizione patologica a carico dei tubuli renali, che induce una perdita eccessiva di glucosio, fosfati, amminoacidi, potassio, sodio, acido urico e acqua attraverso l’urina. Questa anomalia comporta una serie di disturbi, come minzione eccessivasete incessantedisidratazioneritardo nella crescita e, a lungo andare, insufficienza renale completa. Non dimentichiamo, però, che la cistinosi nefropatica è una malattia multi-sistemica, cioè causa un danno progressivo a numerose strutture del corpo, non solo ai reni. Si possono verificare, infatti, anche patologie ocularidisturbi neurologiciindebolimento muscolarefragilità ossearachitismo e problemi alla tiroide.

Una vita scandita dall’assunzione continua di integratori, ormoni e farmaci

Per scongiurare l’insorgere di queste condizioni e consentire al bambino di avere tutti gli elementi necessari per il benessere del suo organismo, vengono somministrati quotidianamente dosi massicce di sali minerali e vitamine e spesso anche trattamenti ormonali per supportare la crescita. A ciò si aggiunge la terapia specifica con cisteamina bitartrato, che consente di abbassare il contenuto di cistina nei lisosomi. Se intrapresa tempestivamente, questa cura è in grado di rallentare la progressione del danno renale e sistemico.

L’impatto sulla qualità della vita

«A impattare sulla qualità della vita del piccolo e dei suoi familiari non è solo la patologia in sé, ma anche questa complessa e quotidiana gestione di farmaci e supplementi, con cui si ha a che fare già nelle prime fasi dell’infanzia» conferma Mara Mazzina, Presidentessa dell’Associazione Italiana Cistinosi. «In generale, questi trattamenti, che possono variare da individuo a individuo, devono essere assunti continuativamente nell’arco delle 24 ore, meglio ancora se a stomaco pieno e cercando di rispettare quanto più possibile gli orari prestabiliti inizialmente. Ciò è di per sé complicato e sfiancante ma lo è ancor di più se il paziente ha pochi anni (o addirittura mesi) di vita e i genitori, come è normale che sia, non hanno alcuna esperienza di questo genere. Per alleggerire il compito di mamme e papà e garantire al piccolo le migliori cure, oggi gli specialisti optano fin da subito per l’impiego di un sondino naso-gastrico o della gastrostomia endoscopica percutanea (la cosiddetta peg), che consentono di somministrare grandi quantità di sostanze nutritive, liquidi, integratori e farmaci in maniera immediata, in totale sicurezza, a domicilio e sotto monitoraggio medico.

Ciò rappresenta sicuramente un vantaggio per i familiari, che sono supportati nella gestione giornaliera del malato raro, ma al contempo contribuisce all’insorgenza di ulteriori problemi. Questi dispositivi, infatti, vengono tolti intorno ai 6 anni: ciò implica che il bambino, per una questione di tutela personale, non possa frequentare la scuola materna, anche se le sue facoltà motorie e cognitive non sono compromesse. Indossare un sondino o la peg in un asilo non solo può ostacolare il gioco, le attività formative e le relazioni ma può anche costituire un pericolo per il bimbo stesso. Questa scelta obbligata può rivelarsi un problema per i genitori, specialmente se questi sono entrambi lavoratori. Quando poi questi dispositivi medici vengono rimossi, il piccolo non è in grado di mangiare, masticare e deglutire autonomamente perché, a differenza dei suoi coetanei, non lo ha mai fatto prima. In questo caso ci si trova di fronte a un bambino anagraficamente pronto per le scuole primarie ma che in realtà, dal punto di vista delle abilità di base, è paragonabile a un neonato» continua Mazzina.

Il problema della somministrazione dei farmaci all’interno delle scuole

Le difficoltà – termine che ritorna per l’ennesima volta – non terminano qua. «Superati questi scogli iniziali, con l’avvio delle scuole elementari si pone un altro interrogativo: chi può aiutare il piccolo malato di cistinosi nefropatica ad assumere correttamente i sali minerali, le vitamine, gli eventuali ormoni e il farmaco che consente di abbassare i livelli di cistina nelle cellule? Questo quesito riporta l’attenzione su un tema, quello dell‘assistenza infermieristica negli istituti scolastici italiani, ancora poco dibattuto. Purtroppo, anche alla luce del fatto che gli insegnanti non sono abilitati a somministrare alcun tipo di farmaco agli studenti, il bisogno di tantissimi bambini e ragazzi affetti da patologie che richiedono l’assunzione di medicinali o altre sostanze negli orari di lezione rimane ancora oggi irrisolto.

Alcuni Paesi, come la Spagna, hanno già promosso l’inserimento della figura dell’infermiere all’interno delle scuole, proprio per rispondere alle esigenze di molti genitori e pazienti. Non ci resta che sperare che anche in Italia si possano importare questi modelli vincenti, in modo da garantire la continuazione delle cure anche in ambito scolastico, senza costringere i genitori a fare la spola tra casa e scuola per aiutare i propri figli in queste pratiche» si augura la Presidentessa dell’Associazione.

La difficoltà di gestire un malato di cistinosi nefropatica adolescente

Anche l’adolescenza, già piuttosto complicata, rappresenta una fase delicata sia per il malato di cistinosi nefropatica sia per i suoi familiari. «A questa età i ragazzi iniziano a voler essere indipendenti, anche nella preparazione e nell’assunzione dei supplementi e del farmaco» conferma Mazzina. «Per un genitore è sempre difficile gestire un figlio di 16-17 anni, quindi talvolta si tende ad assecondare il suo bisogno di autonomia e libertà. Spesso, però, proprio a causa del periodo critico che sancisce la fine dell’infanzia e l’inizio dell’età adulta, il giovane si rivela incostante nel prendere gli integratori e la cisteamina bitartrato, non rispetta gli orari prestabiliti, dimentica alcune dosi. Ciò può costituire un problema, specialmente se questa condotta è protratta nel tempo, perché le somministrazioni altalenanti non solo possono dare più frequentemente effetti collaterali ma possono anche vanificare tutti gli sforzi fatti in precedenza, accelerando la progressione della malattia» prosegue la Presidentessa.

Mancano specialisti e centri di riferimento per il paziente adulto

Dunque, la cistinosi nefropatica ha un forte impatto sulla qualità della vita di pazienti e familiari. Tuttavia, nonostante la gestione di questa patologia rara non sia affatto semplice, questi bambini e ragazzi possono guardare al futuro con speranza e fare anche progetti a lungo termine. Rallentando o addirittura bloccando i danni renali ed extra-renali, la terapia con cisteamina bitartrato ha notevolmente aumentato l’aspettativa di vita rispetto al passato. Prima della scoperta del farmaco, poco meno di trent’anni fa, i piccoli pazienti andavano incontro, già entro i 10 anni, a insufficienza renale completa, condizione che non lasciava loro scampo. All’epoca, quindi, non esisteva una classe medica che avesse studiato la progressione della malattia, proprio perché il destino del bambino con cistinosi era segnato ancor prima che si manifestassero altri sintomi oltre a quelli renali. Infatti, chi si occupava di questi malati era principalmente il nefrologo.

«Purtroppo questo gap non si è risolto nemmeno con l’avvento della terapia di riduzione della cistina, tant’è che ancora oggi mancano specialisti che conoscano a fondo tutte le implicazioni di questa malattia multi-sistemica e che possano prendere in carico a 360 gradi il paziente dall’infanzia fino all’età adulta» interviene nuovamente Mazzina. «Inizialmente il bambino, che per prima cosa avverte i disturbi della sindrome di Fanconi, viene preso in cura dal nefrologo pediatrico. Poi, col passare degli anni e l’insorgere di altri disturbi, i genitori non sanno più a chi rivolgersi perché a oggi non esiste una figura esperta di cistinosi nefropatica. L’auspicio è che anche in Italia, come succede in altri Paesi, come la Germania, possa nascere un Centro di riferimento per il paziente adulto, che si possa occupare della gestione multidisciplinare della patologia» conclude Mazzina.

Fonte ok-salute.it , articolo realizzato con il contributo non condizionato di Chiesi Global Rare Diseases